Proust o le finzioni del sentimento. Sembra questa la chiave scelta da Sandro Lombardi per portare sulla scena Un amore di Swann, romanzo nel romanzo campito all’interno del vasto affresco della Recherche. A una teatrale finzione alludono già la ventina di poltroncine dal velluto color porpora disposte in disordine al centro del cortile quadrato del palazzo del Bargello, a Firenze, dove i tre protagonisti arrivano da lati opposti. E non a caso bisogna assistere a una sorta di loro vestizione, prima che prendano possesso dello spazio centrale. Madame Verdurin si addobba dei numerosi gioielli, Odette de Crécy si trucca meticolosamente il viso, la bocca. Come un ultimo tocco in camerino prima dell’ingresso sulla scena mondana, il salotto di Madame Verdurin evocato da quelle poltroncine di teatro che sono anche il correlativo oggettivo dei suoi frequentatori, il piccolo clan dei fedeli. O per meglio dire i suoi fantasmi, giacché la loro presenza è confinata nelle parole che li chiamano in causa.
La drammaturgia costruita da Sandro Lombardi a partire dalla traduzione di Giovanni Raboni ha dato vita a una partitura per tre voci che si rincorrono e si intrecciano, si passano la parola a sbalzo fra racconto e dialogo, fra la prima e la terza persona, fra il presente dell’azione rappresentata e il passato della vicenda, trasportata visivamente dai costumi di Giovanna Buzzi negli anni 20 del grande cinema muto. Luccicanti abiti di lamè che mandano bagliori argentati. Fastose vestaglie che sembrano modellate con i tessuti di Mariano Fortuny, per altro non sconosciuti a Proust. Cappellini piumati che offrono l’occasione per cimentarsi in un gramelot ornitologico, una campionatura onomatopeica di cinguettii che traversano un largo spettro espressivo, quello che consente alla insinuante Verdurin di Iaia Forte di passare dall’interesse per il nuovo adepto al rigetto dell’uomo non riducibile alla mediocrità della sua cerchia borghese.
Potrebbe esserci Pabst, il Pabst del Vaso di Pandora o del Diario di una donna perduta, dietro l’immagine che dà di sé questo mondo. E un’altra Lulu dietro la donna dal passato non proprio limpido ma dal fascino pervasivo che ha il volto spigoloso di Elena Ghiaurov, cui i biondi capelli corti accuratamente spettinati e un certo pallore donano un’aria un po’ vampiresca. Quasi che rechi impressa nel corpo la sua funzione sociale. Lontana da Louise Brooks quanto dalla figura dipinta da Botticelli idealizzata da Swann. Si può sorridere della sua concezione dello chic o della mancanza di cultura che le fa preferire i mobili d’epoca all’antiquariato, non della precisione con cui sa far di conto. Si capisce che non c’è Jack the Ripper nel suo futuro.
Finzione è l’amore di Odette per Swann. Cioè gioco, nel senso performativo del termine. Che l’altro non sa reggere. Ma siamo ormai per il protagonista, consapevolmente, in quell’età disincantata in cui ci si contenta di amare ancora, senza pretendere di essere amati se non per una generosità un po’ cieca davanti alla realtà dei rapporti di classe. Una sorta di sospensione accompagna i gesti con cui Sandro Lombardi fa vivere Swann. Con un dito al cielo sottolinea la “piccola frase” della sonata di Vinteuil, resa qui dalla trascrizione per pianoforte di Giancarlo Cardini di un quartetto di Debussy, assunta a sigla del suo amore per lo stato d’animo che porta con sé. Mentre sulla parete di fronte si proietta ingigantito un rallentato sbocciare di rose gialle o lo schiudersi di una carnosità sanguinante nel bianco tropicale delle orchidee, le cattleya assunte a metafora erotica dai due provvisori amanti.
Misteri dell’amore, cantano Antony and the Johnsons – e qui David Lynch ci cova, siamo nei dintorni di Blue velvet, per restare ai riferimenti cinematografici. A volte un vento soffia e i misteri diventano chiari, dice la canzone. Chiara è la crudeltà nascosta appena dietro la leggerezza con cui la regia di Federico Tiezzi fa muovere gli interpreti. Ché anzi questo tocco leggero, questa discrezione rendono ancora più tagliente, e non ci sarebbe nemmeno bisogno delle maschere da coccodrillo con cui si affrontano i due contendenti, mentre compaiono le avvisaglie di una crisi economica che non si sa più a quale secolo attribuire. Non si ama che ciò che non si possiede, si dicono gli interpreti uscendo dalla parte. E naturalmente sui frammenti del discorso amoroso di Swann si potrebbe scrivere un saggio filosofico. Lei, Odette, ha già colto il suo trionfo, passeggiando per il Bois da signora Swann.
© Gianni Manzella