Lo ricordiamo bene quel muro che all’aprirsi del sipario chiudeva la scena e subito crollava fragorosamente, lasciando sul palco una distesa di pesanti blocchi di cemento che restavano lì per tutto lo spettacolo, senza cedere sotto i passi dei danzatori. E le corse lì sopra dei sopravvissuti a quel terremoto, mentre ancora restava per aria la polvere sollevata. E i corpi portati fuori a braccia. E quella giovane donna, dalla veste leggera e i tacchi a spillo, incongrui per camminare su quelle macerie, che disegnava col gesso una croce per terra e una anche sul viso, blu, e senza spostarsi dal punto tracciato iniziava ad accompagnare con una danza delle braccia la voce blues di Lil Green, sensuale e lontana nel tempo, mentre un paio di uomini, i primi di quegli aiutanti che si sarebbero moltiplicati nel corso dello spettacolo, prendevano a maneggiarla e a bersagliarla di maturi pomodori.
L’inizio di Palermo Palermo è uno di quei momenti che, senza alcuna retorica, restano indelebili nella memoria dello spettatore di allora. Lo testimonia la commozione che può prendere ora quel medesimo spettatore, nel ritrovare in un film le immagini della creazione di Pina Bausch. E se allora, nel gennaio del 1990 (a un mese dall’anteprima a Wuppertal), l’immagine di quel crollo poteva richiamare superficialmente altri crolli che da Berlino d’improvviso scuotevano tutto l’est europeo, già non sfuggiva che si trattava piuttosto del corrispettivo tangibile del muro da abbattere per chi venendo da fuori vuol capire la città. Un muro di luoghi comuni, di stereotipi anche inconsapevoli trasmessi da una cronaca che faticava ad andar oltre la conta pesante dei morti di mafia. Così doveva averlo pensato lo scenografo Peter Pabst, nel proporlo a consuntivo dello spettacolo già pronto.
La curiosità, la voglia di capire, di abbattere il muro insomma, avevano guidato Bausch e l’ensemble di Wuppertal per le strade di Palermo. Per tre settimane le avevano percorse, la primavera dell’anno prima. Fotografando con l’occhio della memoria, oltre che con quello della reflex, le immagini dure della sua gente. Senza schemi, affidandosi al caso nell’incontro con le situazioni che poi si sarebbero sviluppate sulla scena. Senza nessun intento sociologico. Era la Palermo che sotto la guida del sindaco Orlando cercava un proprio rinascimento, dove finalmente trovava ascolto la voce di Franco Scaldati, schivo e irsuto poeta sciamano delle sue zone d’ombra, e si progettava l’apertura dei Cantieri culturali alla Zisa, nei capannoni industriali dell’ex manifattura Ducrot.
Sono passati ormai trent’anni da quella serata palermitana. Dieci dalla morte della coreografa di Wuppertal. E la città siciliana torna a connettersi con l’universo Bausch con un nuovo progetto, palermoWpalermo, voluto dal Teatro Biondo che ha trovato in Pamela Villoresi una nuova energica conduzione e dalla Pina Bausch Foundation, diretta dal figlio Salomon. Al culmine ci sarà il debutto, nella prossima stagione, di uno spettacolo che non vuol essere la riedizione di quello storico, preceduto nella primavera da un laboratorio propedeutico condotto dai danzatori del Tanztheater.
Alla Fondazione si deve anche la realizzazione del film curata da Ismaël Dia, direttore dell’archivio, che ha ricostruito l’intero spettacolo originario montando immagini riprese da dodici diverse rappresentazioni dell’epoca. E in occasione della presentazione a Palermo, si poteva vedere anche la mostra fotografica di Piero Tauro, Macerie e tacchi a spillo si intitola, che accosta le immagini di allora a quelle scattate pochi mesi fa a Wuppertal di una riedizione dello spettacolo con una nuova generazione di danzatori – ed è sorprendente come le immagini sembrino quasi sovrapporsi. E ancora il cortometraggio Quello che ci muove che Rossella Schillaci ha tratto da un’idea di Susanne Franco, interrogare la memoria di alcuni spettatori sullo scorrere di frammenti dei più celebri Stücken bauschiani.
Le immagini del film sono sporche, a tratti sgranate (non è lo spettacolo, è un documento, ha detto Salomon Bausch in presentazione) e proprio per questo più vicine alla memoria. E però spesso ancora folgoranti, nell’intrecciare quanto viene dalla realtà osservata e quanto invece dalle ossessioni che l’artista si è sempre portata dietro da uno spettacolo all’altro. I suoni e i colori del mercato della Vucciria e del Capo, le ombre delle processioni religiose per Santa Rosalia si mescolano alle storie minime che si intrecciano nei pezzidi Pina Bausch, e gli uni e le altre convergono qui in un sentimento doloroso della vita, reso ancor più acuto da un ossessivo rintocco di campane o da un’improvvisa pioggia di terra rossastra. La violenza della pistola impugnata da una donna sbiadisce davanti a quella dei rapporti personali.
I temi del lavoro creativo di Pina Bausch riemergono uno spettacolo dopo l’altro dalle invenzioni che sa tirar fuori dai suoi danzatori. L’educazione sentimentale, la memoria dell’infanzia, la violenza maschile. Così come non cambia il contenitore delle emozioni, lo spazio che tutto tiene dentro, in un succedersi di singole voci e di irruzioni corali, nelle tammuriate sfrenate e nello struggimento di un Čajkovskij per sei pianoforti. Semmai risulta più sensibile in Palermo Palermo l’assottigliarsi dell’ironia o del divertimento che altre volte rendeva agrodolce la lezione, la sincerità del suo lucido pessimismo.
Simile a quello di Amleto, quello di Palermo Palermo è un mondo uscito dai cardini. Difficile da decifrare, come certi incubi notturni. Un uomo legge un giornale che sta bruciando, si rade con un microfono, solleva una donna che scivola giù dall’abito che indossava. Però quando si allontana un codazzo di altri uomini si precipita a baciargli le mani. Una ragazza si infila un paio di slip sopra l’altro, un’altra mima l’atto di far pipì spruzzando acqua da una bottiglia, sorretta da quei volenterosi aiutanti che altre volte fanno dondolare l’una in appoggio sui piedi o volare un’altra sul palco. Al tavolino di un bar si servono scarpe dai tacchi altissimi. Su un ferro da stiro si possono cuocere uova ma anche le proprie carni.
La carne, come corpo e come cibo, è del resto la grande metafora che attraversa lo spettacolo. Cibo di strada nel senso più letterale del termine. Apparecchiato al suolo dove un cane viene a mangiarlo. Cibo e corpo si mescolano anzi l’uno all’altro, come il rosso del sangue e dei pomodori. E una corale semina di frutti e verdure dà il via alla progressiva degradazione dello spazio scenico, che si riempie degli avanzi dello spettacolo. I rifiuti che qualcuna cerca ossessivamente di spazzare via dalla propria soglia, sfidando l’irreversibile crescere dell’entropia scenica. Eppure queste immagini irreali, allo stesso tempo oniriche e concrete fino alla volgarità, possiedono una capacità di comunicare il disagio (il dolore) da cui nascono ben più forte di qualsiasi descrizione realistica. Palermo Palermo non cerca un’ingannevole somiglianza con la città, vuole piuttosto affermare la verità di uno sguardo.
Senza pretese di denuncia o di giudizio (ognuno deve trovare nel teatro quel conta per lui) Palermo Palermo porta all’estremo la riflessione dell’artista sull’indifferenza come malattia generata dalla solitudine. Non vedere, non sentire, nell’illusione di non soffrire troppo. Questo dicono i suoi danzatori (e che emozione rivedere Beatrice Libonati e Jan Minarik, venuti per l’occasione a Palermo, e Dominique Mercy, Nazareth Panadero, Julie Anne Stanzak e tutti quei meravigliosi interpreti). Però forti anche di una capacità di resistenza, che è forse la sensazione più intensa che Pina Bausch ha tratto dalla città. Diventa così trasparente il senso della parabola finale sulle oche che, al momento di essere mangiate dalla volpe, chiedono di poter dire un’ultima preghiera: e da allora non hanno più smesso di fare “qua qua qua”. Gli alberi in fiore che calano alla fine sulle macerie disegnano un mondo nuovo in cui avanza accucciato il gruppo dei danzatori, finalmente riunito, nel segno di una speranza, di una rinnovata solidarietà.
© Gianni Manzella
Il film Palermo Palermo è ora visibile sul sito della Pina Bausch Foundation all’indirizzo http://www.pinabausch.org/en/editions/film/palermo-palermo.