• L’educazione dello sguardo, imperativo democratico. Intervista a Diego Zaccaria, direttore artistico del Centre du Graphisme

    Il 19 novembre ha avuto inizio a Échirolles, Grenoble, la nuova edizione del Mois du Graphisme, appuntamento ormai consolidato nel panorama della grafica internazionale che quest’anno coglie l’occasione dell’avvio della rassegna biennale per presentare il nuovo Centre du Graphisme, finalmente uno spazio permanente dedicato alla comunicazione visiva. Ne parliamo con Diego Zaccaria, ideatore del Mois du Graphisme e oggi direttore artistico del Centro.

    Finalmente si è concretizzato un progetto sul quale avete lavorato per anni. Quali sono stati i motivi che vi hanno spinto a ritenere essenziale una struttura permanente e quali sono i principali obiettivi del Centre du Graphisme?

    Innanzitutto c’era la volontà di creare uno strumento permanente utile alla diffusione della cultura della grafica. Col Mois du Graphisme (nato nel 1990) ci muovevamo secondo la logica dell’evento limitandoci però alla sua durata. Il fatto di disporre ora del Centre du Graphisme ci permette di passare invece a un’attività permanente, dove la nostra missione principale sarà organizzare iniziative per raggiungere un pubblico più ampio, fare seminari con scuole e studenti, nonché allestire mostre di alta qualità per attirare l’interesse di grafici professionisti, di studenti di grafica e del grande pubblico. A ciò si aggiunge il nostro sostegno a ricerche sul graphic design attraverso pubblicazioni, conferenze, incontri, ecc. Insomma, vorremmo continuare a essere ciò che già siamo: un laboratorio di idee e di proposte per sorprendere i nostri visitatori con sempre nuove scoperte. Vogliamo essere la fucina di nuovi talenti e non ci accontentiamo di presentare soltanto talenti già affermati.

    La sede del Centre du Graphisme a Échirolles

    La sede del Centre du Graphisme a Échirolles

    La sede, realizzata nel vecchio edificio del municipio di Échirolles, si sviluppa su diversi livelli ed è in grado di ospitare una o più mostre contemporaneamente. Come intendete organizzare la programmazione artistica? Ci saranno altre mostre durante l’anno oltre a quelle normalmente organizzate per il Mois du Graphisme?

    Il Centre du Graphisme è organizzato su tre livelli: il semi-interrato di circa 250 mq. riservato alla parte tecnica e al deposito delle opere, il pianterreno di 190 mq. è composto da tre sale espositive e uno spazio di accoglienza, mentre il primo piano è destinato a uno spazio multimediale, a una sala laboratorio per sperimentare pratiche artistiche e agli uffici amministrativi. Direi che è concepito rispetto ai mezzi a disposizione come una struttura agile – una fregata piuttosto che un transatlantico, se mi è permessa la metafora marittima. Per la programmazione artistica collaboriamo con Michel Bouvet, un grafico molto noto, docente e membro di AGI – Alliance Graphique Internationale. Il Mois du Graphisme rimarrà l’evento principale. Tra le due biennali ci saranno due mostre all’anno, che daranno vivacità alla vita del Centro. Ogni mostra sarà accompagnata da conferenze, incontri con grafici, atelier didattici. Vogliamo istituire un atelier per ospitare uno o più grafici in residenza per arricchire in questo modo la pratica e la riflessione teorica.

    Manifesti di Norito Shinmura

    Manifesti di Norito Shinmura

    Il discorso di Michel Bouvet all’inaugurazione del Centre du Graphisme

    Il discorso di Michel Bouvet all’inaugurazione del Centre du Graphisme

    In che misura ritiene sia possibile operare sul territorio per diffondere la cultura della comunicazione visiva? Workshop, interventi nelle scuole, coinvolgimenti della cittadinanza? Quali sono le iniziative in questo senso che prenderete attraverso le attività del Centro?

    L’evoluzione della cultura grafica passa necessariamente attraverso l’insieme delle azioni previste che a loro volta si fondano sulle mostre di grande qualità. Il Centro vuole rappresentare una risorsa che colleghi le arti, il graphic design e la cittadinanza. Di fatto, secondo noi, è sempre più importante e attuale allenare la capacità di comprendere il proprio ambiente visivo. Ed è per questo che l’educazione dello sguardo è per noi un imperativo democratico. Si tratta di un lavoro che andrebbe fatto su un territorio limitato in quanto più è ancorato al territorio di una città, più le iniziative ivi organizzate si evolveranno. Un po’ come il principio dei cerchi nell’acqua, dove il cerchio più largo è per noi il livello internazionale. Voglio dire che è importante creare un dialogo permanente tra la realtà locale e quella internazionale, principio che vale anche per le attività di studio e le mostre che devono essere tutte di altissimo livello.

    Sempre collegandomi al rapporto con il territorio, le chiedo un raffronto tra la situazione francese e quella italiana. Il livello di consapevolezza rispetto al ruolo sociale e politico della cultura del progetto e della comunicazione in Italia è piuttosto basso, prova ne sia il fatto degli innumerevoli concorsi di idee su city branding, ad esempio, dove spesso sono previsti compensi molto bassi per i designer o i bandi sono aperti a tutti indistintamente, oppure campagne di comunicazione pubblica a dir poco imbarazzanti, come l’ultima realizzata dal Ministero della Salute italiano sulla prevenzione della sterilità e dell’infertilità. Secondo lei c’è maggiore sensibilità e interesse in Francia? Che tipo di collaborazione si è instaurata con l’amministrazione pubblica e qual è stato il contributo di quest’ultima per la realizzazione del Centro?

    È sempre difficile confrontare due situazioni nazionali differenti. Da una parte, il discorso si farebbe generale e quindi di poco interesse, dall’altra è chiaro che molto dipende dalla specificità di ogni contesto nazionale, economico e politico. In generale si può dire che la cultura grafica non è sufficientemente diffusa tra chi prende le decisioni a livello pubblico, ma anche privato, di conseguenza non viene da loro preso nella giusta considerazione il valore aggiunto che può comportare un/a professionista del graphic design. Da questo punto di vista, le prestazioni sempre più efficaci delle tecnologie digitali offuscano la professione del graphic design. Ma non per questo viene meno la necessità di creare una cultura di sensibilizzazione verso la grafica. Il graphic design è coinvolto nella società. Considerarlo senza la prospettiva necessaria che dà la cultura e la conoscenza è un manifesto errore di valutazione che spesso fanno i politici. È invece necessario valorizzare la formazione e il mestiere del grafico, così com’è imperativo disporre di strumenti pedagogici e didattici ai fini di sensibilizzare il grande pubblico e gli studenti sin dalla giovane età. È grazie all’educazione dello sguardo di ogni singola persona che contribuiremo a migliorare il livello generale delle aspettative e delle risposte che il graphic design saprà dare. Più l’amministrazione pubblica è lontana dalla realtà sociale, dalle diverse realtà della vita, più le decisioni da loro prese in materia di comunicazione visiva saranno inconsistenti. Qui come altrove, è nella dimensione locale che si stabilisce una comunicazione autentica tra coloro che sono amministrati, i cittadini, gli abitanti, e le autorità pubbliche. Per quanto riguarda il nostro Centro di Échirolles, tutti i livelli dell’amministrazione pubblica hanno contribuito alla sua realizzazione: Comune, Dipartimento, Regione e Ministero della cultura e della comunicazione. Il Comune ha supportato il progetto avendo riconosciuto il lavoro svolto per un quarto di secolo col Mois du graphisme. Non sono mancati però dibattiti a volte accesi tra «pro» e «contro» la realizzazione del Centro. A livello dello Stato, ci vorrebbe una volontà politica determinata per dare i giusti impulsi a una grafica di qualità nelle grandi campagne di comunicazione pubblica, così come nell’amministrazione ordinaria della vita pubblica.

    Il Mois du Graphisme si è caratterizzato negli anni per uno sguardo internazionale. Quest’anno per la prima volta tutte le mostre nel programma del Mois du Graphisme sono dedicate al Giappone, e offrono la possibilità di conoscere la comunicazione visiva giapponese da più punti di vista e attraverso molteplici campi applicativi. Può spiegare il perché di questa scelta monotematica?

    Avendo creato il Centre du Graphisme, assieme a Michel Bouvet e Geneviève Calatayud, che dirige l’équipe permanente del Centro, abbiamo sentito la necessità di presentare una situazione geografica precisa captandone il contesto culturale, storico e politico. Esporre opere di comunicazione visiva senza al contempo abbozzare il contesto generale in cui sono nate, equivale per noi a un non senso, anzi un’impostura. Vorrebbe dire, ridurre il rapporto tra il visitatore e la mostra a un rapporto puramente estetico. Noi non abbiamo mai voluto separare la forma e il senso. Questo momento privilegiato che è ogni edizione del Mois du Graphisme, noi lo consideriamo una finestra aperta su un’altra cultura, un altro mondo dell’espressione, sull’Altro. Di qui l’idea di concentrarci su una situazione in particolare. Per quanto concerne il Giappone, la forza e la qualità dei diversi modi di espressione, questa magnifica sintesi fra tradizione e modernità, spiega da sola la nostra scelta, confermata per altro dalla ricchezza delle diverse mostre e dal grande successo di pubblico.

    Una delle caratteristiche principali del Mois du Graphisme è sempre stata la grande attenzione nei confronti del manifesto come mezzo di espressione ideale per un designer. Il poster nasce storicamente come strumento di comunicazione di un prodotto ad una audience più vasta possibile. Oggi è ancora uno dei mezzi più pervasivi e presenti, nelle sue varie emanazioni, anche digitali, ma viene per lo più utilizzato secondo logiche di marketing, limitando lo spazio dell’espressione artistica e la sua libertà comunicativa rispetto ad altri periodi storici. A uno studente che esce ispirato dalla visione dei bellissimi manifesti esposti nella mostra “Japon: les grands maîtres de l’affiche”, e che giustamente si chiederà che spazio può avere questo strumento nella comunicazione contemporanea, cosa si sente di rispondere?

    È vero che il manifesto come tale è molto presente nel Mois du Graphisme, ma lo sono anche gli altri ambiti. In ogni caso qui è adattato all’esposizione museale, superando il paradosso di essere stato concepito e fatto per la strada e ritrovarsi invece incorniciato ed esposto in uno spazio chiuso. Non sono certo un indovino, ma il manifesto rimane un mezzo popolare. I grandi maestri del passato pensavano giustamente che era un modo per immettere un po’ di bellezza nel grigiore delle città. Savignac diceva che il manifesto era lo «sciroppo delle strade». Il manifesto veicola anche la parola pubblica, laddove può porre interrogativi, «intrigare» diceva Jean-François Lyotard, per creare o arricchire il dibattito pubblico. Ciò che crea problemi oggi, sono le condizioni per le affissioni negli spazi pubblici. Rimanendo nell’ambito del manifesto culturale, i costi per l’affissione sono alti per le strutture e le istituzioni culturali che hanno tutte grandi difficoltà economiche. Il manifesto resta comunque un mezzo di comunicazione importante e uno spazio di espressione e di interpretazione per ogni grafico. Non so se è possibile qualificarlo come uno spazio artistico, di sicuro chi crea manifesti è un autore. Sta a lui poi, dar prova del suo talento.

    (traduzione di Elfi Reiter)

     

     

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