Comincia con uno scoppio di rock Birth of prey della coreografa e danzatrice fiamminga Lisbeth Gruwez, guerriera della bellezza cara a Jan Fabre, riproposto a Prato dal festival Contemporanea. Ma subito i due musicisti tacciono, quando in mezzo a loro compare Gruwez. O meglio: a mostrarsi in un riquadro di luce è dapprima solo la schiena nuda della performer che piegata al suolo si contorce in movimenti sinuosi. E basta questo a farci riconoscere la protagonista non dimenticabile di Quando l’uomo principale è una donna, l’interprete di altri più affollati lavori di Jan Fabre, dal Je suis sang di Avignone all’infernale pasticceria di As long. Proprio a quel suo assolo si ricollega questa creazione, realizzata però con la nuova formazione Voetvolk cui ha dato vita insieme al musicista Maarten Van Cauwenberghe.
La “nascita della preda” è una evocazione emozionante dell’animalità del corpo, della sua immediata capacità di comunicare nel profondo, della forza e della fragilità che vi si intrecciano. Davanti a noi la performer diventa ragno scimmia belva serpente non per mimesi ma per una sorta di sciamanica capacità di contagio. Sullo sfondo della preda si intravvede inevitabilmente il predatore, che si solleva nella posa del samurai a raccogliere l’energia che sale lungo la colonna vertebrale. Si resta catturati, perché la preda qui è lo spettatore.
E si capisce che alla fine di tanta tensione emotiva bisogna liberarsi. Gruwez afferra un microfono e con un urlo attacca a cantare come fosse sul palco per un concerto rock. Dura lo spazio di una canzone ma basta a ricordarci l’analoga tentazione di un’altra grande performer, l’islandese Erna Omarsdottir. Come a rivendicare al corpo vero, nel tempo di Lady Gaga, il possesso di quel palco.
Venerdì 5 ottobre Lisbeth Gruwez è a Cesena, nell’ambito del festival Mantica, con il più recente It’s going to get worse and worse and worse, my friend.