• Oreste e Pilade nella notte della democrazia. Giorgina Pi di fronte al mito riscritto da Pasolini

    Una discarica. Nell’oscurità fumosa che pochi fasci di luce non riescono a diradare si distinguono a mala pena la carcassa di un’automobile, quel che resta di una roulotte coperta di graffiti che però qualcuno ha arrangiato a propria dimora, bidoni metallici e soprattutto tanti copertoni di pneumatici che ora servono per sedersi. Si presenta così, nello spettacolo di Giorgina Pi e della sua compagnia Bluemotion, la città di Argo che il testo di Pasolini vorrebbe bagnata dal bel sole di una primavera che cede il posto all’estate. E invece si rovescia in una lunga notte che annebbia i confini anche temporali, passato e presente si avvicinano fino a confondersi come del resto vogliono Borges e la meccanica quantistica. Non stupisce che ci si perda anche la dea della Ragione.

    Foto di Guido Mencari

    Pilade è il primo testo pubblicato, nel 1967, del teatro in versi di Pier Paolo Pasolini, lingua poetica che si tramuta in toni civili. E il secondo tratto del progetto di Emilia Romagna Teatro di presentare nel corso della stagione tutti i testi teatrali dell’autore friulano, affidandone la realizzazione a registi della generazione più recente. E questa lettura ravvicinata sollecita anche i confronti, per esempio con il Calderon di Fabio Condemi visto pochi mesi fa. Là era il tema della borghesia come prigione da cui non è possibile uscire. Qui il conflitto fra riformismo e rivoluzione. Se all’origine di Pilade c’è l’Orestiade che Pasolini aveva tradotto anni prima per Vittorio Gassman, e palese è l’archetipo del mondo tragico greco seppure per contestarne la dialettica, è difficile non riandare a ciò che di quel conflitto faceva emergere l’Orestea di Peter Stein. Per chi per età ne ha memoria uno dei vertici del teatro del secondo Novecento, capace singolarmente di anticipare, più di un decennio dopo, il precedente lavoro di Pasolini, nella comune riflessione sulla nascita della democrazia. Si vuol dire che quel prequel inscenato dal regista tedesco poteva spiegare meglio di altro il discorso pasoliniano. E non stupisce che a rivolgersi oggi a Pilade sia l’artista romana cresciuta all’interno del Collettivo Angelo Mai, già altre volte attratta dalla riscrittura del mito come sprofondamento nei sui archetipi, dal veggente Tiresias ispirato a Kae Tempest al Filottete di Lemnos – qui opera la drammaturgia di Massimo Fusillo.

     

    Oreste torna nella sua città dopo che il tribunale istituito da Atena l’aveva assolto dal matricidio commesso insieme alla sorella Elettra. Le Furie che l’avevano perseguitato si sono tramutate in benevole Eumenidi e lui, rinunciato al trono che gli spetterebbe per nascita, vuole portare nella città il regime sancito dalla nascita ad Atene della prima assemblea democratica. Non più re ma eletto dal popolo vuole essere. Eccolo infatti che microfono in mano tiene un suo comizietto da politico ben temperato. È tornato per cambiare le istituzioni, dice. Un nuovo mondo democratico fondato sulla ragione e non sulle vecchie divinità. Il passato dobbiamo solo sognarlo, dice. E infatti poi il coro dei cittadini è contento, la città fiorisce. Mentre è rottura con la sorella Elettra che a quegli dèi e a quel passato non vuole sottrarsi. Solo nel passato regna la luce, dice. Ma resta nell’ombra anche lei, come tutti, in questa notte della ragione che non si allenta, abbracciata al grosso mazzo di fiori che rappresenta il suo quotidiano tributo alla tomba dei genitori.

     

    Lo scontro più doloroso è però con l’amico Pilade, “timido maestro” ma anche “anima in pena” in cui si riconosce un po’ l’autore. Portatore di una diversità che si è fatta carne e scandalo. Che gli permette di vedere il ritorno delle forze del passato, nel male misterioso che uccide il bestiame. E lo rende nemico dell’ordine che si è costituito. Rivoluzionario riluttante, lo stato vorrebbe sovvertirlo, non cambiarlo. Ma la rivoluzione è stata un’altra da quella sperata. Il mondo si muove, tu sei vecchio – gli dice Oreste quando si incontrano di nuovo. Il tempo ti ha lasciato indietro. Lui, Oreste, con le forze oscure di quel passato è venuto a patti.

    Nel bagliore rosso che annuncia la seconda parte, li ritroviamo tutti ancora riuniti lì, in questa notturna terra di nessuno. I due protagonisti Gabriele Portoghese e Valentino Mannias; l’Atena di Sylvia De Fanti, tailleur grigio e stivali dal tacco altissimo che eccitano il feticismo ideologico di Oreste, e l’Elettra di Aurora Peres; il coro di Nico Guerzoni e Laura Pizzirani e la ragazza Cristina Parku e altri ancora fra cui un gruppo di africani che hanno preso il posto degli operai delle fabbriche. È l’ora delle profezie. L’apocalittica rivelazione delle Eumenidi. L’odore di sangue di una nuova rivoluzione di destra evocato dalla visionaria descrizione di Atena, uscita dalla roulotte che aveva eletto a suo tempio. E la bestemmia di Pilade agli dèi non risparmia alla fine l’ingannevole ragione, che gioca con le parole ma anche con il ragionamento.

     

    © Gianni Manzella

     

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