Lo spazio è monocromo e vuoto, chiuso sui tre lati sui quali linee di luce lasciano segni passeggeri e vibranti di colore. Al centro del palco un tratto rosso, il corpo di Teshigawara Saburo. Così si apre la scena di Miroku (2007) del coreografo giapponese. Questo lavoro si lega idealmente ad uno stato di transizione della materia al contempo dura e fragile, che possiede caratteristiche di magnetismo simili al metallo. Transizione e magnetismo, associati allo stato della materia, si coagulano dando origine a una performance singolare che prende avvio da una serie di solo. L’intero lavoro si dipana in una successione di quadri dal forte impatto cromatico in cui il corpo di Teshigawara istituisce una serie di relazioni con la materia della scena: dall’aria alla luce, passando per il suono. Si disegna così quella qualità prismatica che segna il pensiero coreografico di Teshigawara, giocato sulla sospensione e sulla ripresa accelerata di un movimento, capace di passare da una gestualità impercettibile al vigore compositivo fatto di scarti di spazio e ritmo.
Teshigawara non disegna linee con il corpo; la linea, sospesa e fluida come a disegnare una continuità là dove il corpo si arresta, è il suo corpo stesso. Potremmo parlare qui di un corpo intervallo, che concentra in sé tutte le possibili dimensioni temporali: staccare il busto dal bacino, come in torsione sul proprio asse, oscillando sul centro di gravità attribuendo così ad ogni diversa parte del corpo un tempo autonomo, una traiettoria differente.
In Miroku cambia radicalmente la percezione dello spazio e del tempo. Lo spazio si contrae e si assorbe o viceversa si dilata a seconda dello spostamento del corpo, a seconda della linea organica che lo attraversa disegnando nello spazio la sua continuità invisibile, la sua architettura: dall’assunzione del peso alla sua trasformazione costante, senza soluzione di continuità – come se il movimento avesse il suo appoggio sull’aria. La composizione coreografica di Teshigawara è sempre una forma di resistenza o meglio un appoggio sull’aria. L’aria si fa materia solida all’interno della quale il corpo in movimento si inscrive come una traccia. La presenza del movimento – perché è il movimento che fa la presenza e non il corpo – è dunque stimolata dalla complessità delle sue percezioni: contrazione, distensione, natura degli spostamenti nello spazio scenico. In altri termini è come se il corpo, di volta in volta, si concentrasse in modo sempre più complesso su uno dei cinque sensi: qui il corpo si fa atmosfera.
Il movimento fende l’aria, ne tocca ogni singola particella: toccare non solo il cambiamento di consistenza della materia, ma gli stati di variazione interna, la temperatura dell’aria, il suo grado d’umidità, il momento in cui l’aria si trasforma. È qui che la composizione di Teshigawara Saburo si fa coreografia della materia e il movimento è considerato alla stregua di un vapore che si leva dal suolo secondo diverse dimensioni di densità: Teshigawara organizza l’aria attraverso l’inscrizione del movimento sulla sua superficie; il suo corpo è dentro il corpo dell’aria, lo abita.
Ogni variazione d’equilibrio, anche impercettibile, nella composizione del movimento rende manifesta questa relazione. È un corpo a corpo con la materia che coinvolge anche la luce, il suo spazio di inscrizione in cui l’astrazione geometrica del pensiero coreografico si rende visibile.
La trasformazione del movimento è come una corrente che si manifesta e che si protrae, si estende come una struttura interna che si trasforma senza soluzione di continuità. È qui, in questo processo di variazione continua, che ogni movimento – anche il più impercettibile – diventa visibile come esposto a una lente di in gradimento.
Qui il movimento fonda lo spazio. Quest’ultimo non è semplicemente dato in precedenza, luogo oggettivo in cui i corpi possono essere posizionati, ma è costruito nel movimento, grazie ad un gesto che vi si inscrive determinandolo.
L’articolazione dello spazio procede per una decostruzione della linearità per accedere a una sovrapposizione di piani spaziali, disegnando una geometria variabile in cui il corpo crea uno spazio dinamico secondo due modalità: da un lato il movimento di un corpo nello spazio, che si articola a partire da vettorialità e linee di forza, dall’altra un movimento dello spazio nel corpo in cui il gesto frammentato e impercettibile contrae lo spazio ripiegandolo all’interno del corpo. Entrambe queste dimensioni creano un diaframma, come se il gesto nel suo dispiegarsi aprisse una fenditura nello spazio, delineando un’inquadratura in cui il corpo si staglia dal fondo dell’immagine scenica per focalizzare un dettaglio portato in superficie e messo in evidenza. L’evidenza è quindi una porzione di movimento che origina un’inquadratura separata dal resto della scena in cui il gesto, come modificazione dello spazio e della sua percezione, guida l’inabissamento nell’immagine. Il corpo dei performer restituito in immagine è così una concrezione di gesti impercettibili attorno a un modo esistenziale che favorisce l’incontro tra le intimità che affiorano dal movimento.
I quadri compositivi di Miroku evolvono per immagini in cui il gesto coreografico permette di cogliere un movimento interno del passaggio del tempo. Modellare la velocità e l’ampiezza del movimento coreografico significa rendere lo spazio e il tempo visibili. Questo sembra fare Teshigawara. A emergere è qui la relazione tra l’istante-tempo e il corpo del coreografo in scena. La presenza di Teshigawara è istantanea. Questa qualità di presenza è ciò che determina la precisione e la fragilità del gesto, nonché la qualità transitoria del suo corpo in scena. Questo essere tempo è veicolo di una condizione in cui il corpo è una forma di tempo sospesa nello spazio della visione. L’immagine in cui il gesto veicola il movimento permette così al tempo di manifestarsi, di apparire nel campo del visibile. Il gesto ne porta in superficie l’intimità, il punto nodale in cui il movimento si fa vibrazioni nell’immagine. Miroku, così come altri lavori di Teshigawara, è in fondo un lavoro che indaga la densità del corpo e la sua esposizione, in cui mostrare il gesto impercettibile, o la sua accelerazione, equivale a mostrare un dettaglio di tempo, rendere visibile uno stato transitorio.